LESBICHE IN UGANDA


Difficile trovare le parole per scrivere di un viaggio così intenso come quello appena vissuto, soprattutto per una penna poco abile come la mia.

Mi cimento nell'impresa soprattutto perché non farlo significherebbe perdere una buona occasione per far conoscere qualcosa della condizione di gay e soprattutto lesbiche in Uganda, una realtà per me inimmaginabile fino a poco tempo fa e che ho potuto conoscere da vicino.

Nella "Perla d'Africa", così viene chiamato questo Paese tristemente famoso in passato a causa di feroci dittature ma capace di esprimere un calore umano che mi ha segnata profondamente, è in atto una vera e propria persecuzione nei confronti delle persone LGBT .Qui vige una legislazione severissima che punisce la "conoscenza carnale contro natura" con la reclusione da un minimo di 10 anni fino all'ergastolo, ma la vita di lesbiche, gay, trans è resa ancor più dura dai continui attacchi, verbali ma non solo, del presidente Museveni e dei suoi ministri che, sostenuti dalla potente chiesa anglicana, contribuiscono a rafforzare lo stigma. L'omosessualità è considerata una malattia importata con i bianchi che va assolutamente estirpata.


Poche settimane prima della mia partenza, curiosa di sapere qualcosa di più della situazione di lesbiche e gay nel Paese dove mi apprestavo ad andare, ho scoperto -potenza della tecnologia- l'esistenza di un movimento piuttosto articolato e, addirittura, di un gruppo molto attivo di lesbiche a Kampala.

Ho subito scritto al loro indirizzo mail e, seppur con qualche difficoltà iniziale, sono riuscita a contattarle. Una volta arrivata in Uganda siamo riuscite a fissare un appuntamento, le avrei incontrate proprio nel mio ultimo giorno di permanenza. Vista la delicatezza della situazione ho chiesto loro il permesso per poter essere accompagnata da due miei amici ugandesi, Fred e Juliet, che meritano qualche parola di presentazione.

Fred è il sacerdote che mi ha ospitata. Dotato di una intelligenza ed una sensibilità eccezionali era interessato ad incontrare questo gruppo lesbico almeno tanto quanto lo fossi io. Mi ha detto che all'incontro sarebbe venuto vestito "in borghese", così se fosse successo qualcosa avremmo sempre potuto dire di essere fidanzati!

Juliet è una giovane e vivace donna con cui ho avuto uno scambio molto intenso. Ho conosciuto molto dell'Uganda attraverso i suoi occhi come lei ha potuto vedere attraverso i miei. Con lei mi sono ritrovata a dover fare un non previsto coming out che, fortunatamente, ha rafforzato ancor di più il nostro rapporto.


E così arriviamo all'incontro.


Non so bene cosa mi aspettassi, di certo non quanto ho trovato.

Cinque le donne che ci accolgono: la presidente Kasha, Diana, Goretti, Biggie e Naomi. Hanno una sede bella e spaziosa, dotata di computer (hanno un bellissimo sito all'indirizzo www.faruganda.org), libreria, videoteca. Freedom and Roam Uganda è il nome della loro organizzazione che è nata nel 2003 ed è sostenuta economicamente da un'associazione lesbica americana.

Parliamo di molte cose.

Mi raccontano degli stupri da familiari subiti dalle lesbiche sospettate di esserlo e mi spiegano che questo è uno dei motivi per cui molte lesbiche hanno figli.
I gay per lo più preferiscono mantenere una seconda vita con moglie e figli e quindi - per noi è stranissimo!- i gruppi lesbici sono più frequentati e più attivi di quelli gay. La situazione è difficile ma negli ultimi mesi c'è stata una sentenza che ha dato grandi speranze.

Per la prima volta il governo è stato condannato a risarcire due donne vittime nella loro abitazione di un raid notturno da parte della polizia che poi le ha stuprate ed arrestate solo perché sospettate di essere attiviste del movimento.


Io racconto un po’ della nostra situazione, del "problema" Vaticano (con Fred che annuisce), delle attività del Pianeta Viola, ma provo un certo disagio perché le mie condizioni di vita non sono neanche lontanamente comparabili con le loro. Sono delle eroe e io che arrivo dal mio comodo mondo ho quasi vergogna.

Fred è molto interessato, rivolge alle ragazze parecchie domande come loro ne fanno a lui, si scambiano i numeri di telefono.Prima di lasciare la sede mi regalano del materiale che avrò modo di leggere solo nei giorni successivi e grazie al quale sono venuta a conoscenza delle loro numerose collaborazioni internazionali nonché di una corposissima campagna di "consapevolezza" fatta nel 2007 su tutto il territorio ugandese.

Sono proprio in gamba.



L'incontro si conclude con una cena all'aperto in un ristorante italiano. Odio mangiare cibo italiano quando sono all'estero, ma in questo caso c'erano altre motivazioni che tralascio. Ad ogni modo la (discreta) cucina italiana ha successo ed anche Juliet, che nel pomeriggio era tramortita dalla fame per aver saltato il pranzo, si riprende e partecipa alla conversazione.
Kasha mi racconta che, a causa della sua visibilità totale - il suo volto è comparso più volte sui giornali e in tv- mette a repentaglio la propria incolumità fisica ogni volta che esce per strada. Più volte è stata attaccata fisicamente, in una occasione è stata fatta scendere da un taxi e malmenata lì davanti.

E' una donna che ha anche viaggiato molto. E' venuta in Europa grazie a collaborazioni con la Spagna e con la Svezia. Nel 2008 ha partecipato all'Europride di Stoccolma dove ha parlato, emozionatissima, davanti a quasi un milione di persone.



Difficile descrivere la sensazione che ho provato intorno a quel tavolo di un ristorante italiano di Kampala, mentre parlavamo e discutevamo davanti ad una pizza o ad un piatto di pasta io, Fred, Juliet , Kasha e tutte le altre ragazze di Farug.
Mi viene da dire, passatemi l'espressione perché non ne ho altre, che ho sentito la vita.
A fine serata purtroppo i saluti e un arrivederci, sono sicurissima, a presto.
Manuela Fazia