Il Manifesto: TREVIGLIO PRIDE 2010

BERGAMO

Pure la Padania è gay. E l'orgoglio scende in piazza
In un paese (in)civile come l'Italia è difficile scendere in piazza per  rivendicare i propri diritti. Lo sanno bene gli operai di Pomigliano d'Arco, i docenti e gli studentimassacrati dalla pseudoriforma del ministro
dell'istruzione Gelmini, i tanti lavoratori di tutti i settori che negli ultimi tempi hanno visto svanire il loro posto di lavoro a causa della crisi economica. Lo sanno addirittura i sindaci dei comuni italiani, che due giorni fa hanno manifestato davanti al Senato contro i tagli agli enti locali previsti dal governo. Ed è ancora più difficile quando, a scendere in piazza, sono i «diversi». Migranti, rom, omosessuali. Il mondo glbt, negli ultimi anni, ha «abituato» gli italiani al loro giorno dell'orgoglio, il gay pride, che annualmente riempie con i colori della bandiera rainbow diverse città d'Italia. E qui sta il punto: città. Che, nonostante tutto, facilitano la discesa in piazza. Garantendo, per definizione, l'anonimato. Si arriva festosi, si sfila per le vie di Milano, Roma, oggi Napoli, in mezzo a tantissime persone. Dalle finestre, dai balconi, i cittadini «normali» applaudono, solidarizzano. Guardano stupiti. Qualcuno insulta.
Poi, finito il corteo, tutti a casa. Diverso è il caso di un paese, della profonda provincia. Lì tutti si conoscono, si salutano, sono imparentati. E il giorno dopo, la persona che ti guardava stupita te la ritrovi a fare la spesa.
Magari è tua zia, o il tuo vicino di casa. Ecco allora dove sta il valore aggiunto del gay pride della bergamasca, organizzato da Agedo, Arcilesbicaxxbergamo, Bergamo contro l'omofobia e associazione Milk di Milano per sabato prossimo a Treviglio, in provincia di Bergamo. Che ci si mette in gioco in una realtà piccola e provinciale. Ché Treviglio, nonostante sia il più grosso centro abitato della bassa bergamasca e si
fregi del titolo di città, non è nulla di più di un paesotto sovradimensionato. Con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. Eppure gli organizzatori del pride del tre luglio lo hanno scelto lo stesso, o forse apposta, per «guardarsi in faccia». «Guardiamoci in faccia» è lo slogan della manifestazione, ben visibile sui manifesti che la pubblicizzano. Ci sono i loro volti, quelli di gay, lesbiche, transessuali e bisessuali.
Abitano tutti in provincia di Bergamo. C'è Giuliana, psicologa, insieme a Elena, «ghisa» (poliziotto in milanese ndr) e ai loro tre figli. Sotto le foto campeggia la scritta «famiglia omogenitoriale, amiamo cucinare,
viaggiare e fare giardinaggio insieme». Come tutti gli «altri». Perché, spiega Stefano Aresi, portavoce del Treviglio Pride, «vogliamo dimostrare a tutti che non siamo alieni,ma figli, vicini, colleghi, amici dei nostri
concittadini, e che semplicemente chiediamo di poter girare per le vie dei nostri paesi tenendoci per mano senza correre il rischio di venire pestati, o insultati». Questo purtroppo ancora capita. Nel 2009 i casi di aggressione a sfondo omofobo sono stati tantissimi. Con la loro iniziativa, vogliono smuovere le coscienze. Qualcosa già sono riusciti a fare. Dai primi di giugno stanno organizzando eventi, dibattiti, cineforum sul mondo omosessuale. Sono riusciti a far votare, quasi all'unanimità, dal consiglio comunale di Treviglio una mozione anti omofobia. Il loro pride ha ottenuto il patrocinio dell'assessorato alla cultura. Il 3 luglio sfileranno per le vie centrali di Treviglio. Si faranno riconoscere. Vogliono che i loro vicini, il giorno dopo, li salutino come prima. Magari meglio, con un sorriso di complicità in più.