In Uganda al peggio sembra non esserci mai fine

A distanza di alcuni mesi del famigerato disegno di legge “antigay”, pur non essendo (ancora?) quel disegno stato approvato, la situazione in Uganda è precipitata.
Ce lo racconta Kasha in un incontro in una città italiana del Nord dove sta trascorrendo un paio di giorni in questo periodo di “esilio” dal suo Paese.

Kasha è magrissima. “E' lo stress”, dice.

L'odio che ha portato all'uccisione di David sembra avvitarsi in una spirale senza fine.Sono entrati in casa sua ed era chiaro che non si trattava di un furto. Volevano lei, ma fortunatamente in quel momento Kasha non era lì. I suoi vicini di casa sono andati via, troppo pericoloso rimanere a vivere vicino la sua abitazione.
Kasha, insieme a David e Pepe, è uno dei principali bersagli dell'onda omofobica ugandese. Proprio loro tre, infatti, avevano vinto ad inizio anno la causa contro il “Rolling stones”, un giornale scandalistico che aveva pubblicato foto ed informazioni private di tante lesbiche e gay.
All'inizio di febbraio, infatti, su energico invito di organizzazioni internazionali tra cui Amnesty International, Kasha ha precipitosamente lasciato l'Uganda. Queste stesse organizzazioni internazionali ora stanno aiutando in loco decine di lesbiche e gay i cui volti sono stati inquadrati dalle televisioni durante i funerali di David e proprio per questo sono perseguitati. Per proteggerli occorre trovare alloggi più sicuri, che vuol dire trasferirli in villaggi diversi da quelli in cui vivono.
Farug, l'associazione lesbica di cui Kasha è presidente, è stata costretta a chiudere la propria sede dopo ripetuti attacchi a colpi di pietre e bastoni. L'attività dell'associazione continua, ma con riunioni fatte in segreto nottetempo.

Artefice di queste aggressioni è la gente comune, mentre la polizia fa da spettatore. Il governo infatti si muove seguendo una doppia linea di condotta. Da un lato non attacca direttamente la comunità lgbt per non rischiare di compromettere i rapporti con la comunità internazionale, dall'altro preme perchè il disegno di legge “antigay”, fortemente caldeggiato dalla maggioranza della popolazione, venga approvato.

“I disegni di legge “antigay” ora sono 2” ci dice Kasha “ ma ci tengono volutamente all'oscuro del contenuto di questa seconda proposta. E proprio la prossima settimana il parlamento li discuterà entrambi”.

Kasha è in ansia ed è combattuta su cosa fare. E' ben consapevole di quanto lei sia importante per la sua comunità. Se dovesse accaderle qualcosa il movimento lgbt ugandese, dopo David, perderebbe un'altra colonna portante. Potrebbe chiedere ed ottenere asilo politico in Europa, ma non è questo che desidera.

Qui in Europa intanto continua a lavorare per il suo Paese e pochi giorni fa ha partecipato ad un meeting internazionale tenutosi a Ginevra (www.genevasummit.org). 

Poi però parla di tornare giù, della possibilità di avere una guardia del corpo, di allarmi di sicurezza per la sua abitazione...

Alle ultime elezioni politiche hanno riconfermato per l'ennesima volta il dittatore-presidente Museveni. 
Alla domanda su come mai la comunità internazionale, che tanto si è mobilitata contro il disegno di legge antigay, ha tranquillamente accettato l'esito delle elezioni sicuramente condizionate da brogli elettorali, la risposta di Kasha è stata:” Noi abbiamo costruito un'ampia rete di relazioni e solidarietà con l'estero. L'opposizione dovrebbe fare lo stesso”.
Kasha è davvero stanca, ma ha ancora voglia di combattere per il suo paese...e noi continueremo a sostenerla   con i mezzi a nostra disposizione.

A presto, Combattente.